Voce del verbo ascoltare.
Ho sempre pensato di essere una brava ad ascoltare.
Sempre, fino a quando, su una panchina del lungomare di Bari, mi sono trovata di fronte A.
Parlava molto – molto più di me! – ma del fatto che non lo stavo davvero ascoltando, me ne sono accorta quasi subito.
Distratta dalla voce troppo alta dei miei pensieri, non riuscivo a seguire il filo dei suoi.
Continuavo a pensare a cosa avrei detto, preparavo mentalmente la mia risposta e quando finalmente era pronta, ecco che lo interrompevo: ‘ma sai che anch'io’ oppure ‘no, invece io’.
Ero convinta che condividere la mia esperienza – così simile o così diversa dalla sua – fosse il modo più naturale per creare sintonia. Ma intanto A. non riusciva a completare un discorso, che la mia continua interruzione gli spezzava le parole.
Per questo mi sono fermata. Ho messo a tacere quella voce dentro di me - il mio ego - e sono rimasta semplicemente… in silenzio.
È stato un processo più difficile (per me che non smetto mai di parlare!) di quanto credessi.
Ha a che fare con l’umiltà e la generosità, che non siamo abituati a praticare.
Perché in quel momento, mentre la sua voce risuonava dentro di me, ho capito che ascoltare non è soltanto sentire le parole.
Ma è soprattutto un atto di pura dedizione verso l’altro, in cui dimostri che è davvero al centro della tua attenzione.
Che non ha nulla a che fare con la continua esposizione di sé, ma si tratta di quella straordinaria capacità di dire - senza bisogno di parlare - ‘sono qui per te’.
È quando ti sintonizzi davvero sulla sua voce che l’altro si sente visto, e finalmente, ascoltato.
In silenzio,
Mary